Cartoline dal Lunarkand: La recensione di "Harum Scarum"

Per quanto si voglia criticare la produzione discografica legata alla parentesi hollywoodiana di Elvis, non si può negare che molti long playing generati da quella lunga e quasi mai positiva esperienza fossero squisitamente a tema. Questi dischi rispecchiavano il soggetto e la sceneggiatura della pellicola tanto nella veste grafica quanto nella musica che contenevano, realizzata con approccio e strumentazione adeguati allo scopo da raggiungere. Inciso nel febbraio del 1965 e pubblicato alla fine dello stesso anno, l'album "Harum Scarum" non sfuggì alla regola e anzi ne rappresentò l'esempio più radicale, allontanandosi irrimediabilmente dal mondo del rock laddove con il precedente "Girl Happy" - arrivato sul mercato qualche mese prima - si fosse tentato un modesto e malriuscito contatto con la nuova cultura musicale, in grande fermento creativo. Date le sue spiccate peculiarità, "Harum Scarum" corse quindi il rischio di risultare poco vendibile e questo potrebbe sembrare un curioso paradosso, considerando che a un progetto cinematografico di Elvis Presley non si richiedeva altro che il potenziale commerciale. Le undici canzoni presenti sull'album - due delle quali inserite in qualità di bonus songs - sono caratterizzate da scarso spessore compositivo e stereotipati testi dal sapore fiabesco, che legano alla perfezione con il sound orientaleggiante che permea la soundtrack. Questa particolarissima ricetta determina e alimenta uno sconcertante distacco dalla realtà.

C'è da dire che a dispetto di quanto messo a sua disposizione, decisamente poco, Elvis dà l'impressione di essere moderatamente interessato. Peccato che questo vago coinvolgimento sia vanificato dal missaggio dei brani, talmente maldestro e dilettantesco da far gridare allo scandalo. Aver allontanato Elvis dagli abituali percorsi artistici è di per sé grave, che non si sia badato alla credibilità delle sue incisioni è vergognoso. Così, durante l'ascolto è possibile appurare quanto fosse mal gestito il cantante più famoso del mondo intorno alla metà degli anni '60, ed è sulla base di questa amara constatazione che "Harum Scarum" può essere ricordato come uno dei punti più bassi toccati dal cantante nel corso della sua straordinaria carriera.

Elvis è chiamato a fare i salti mortali già in apertura, quando deve cercare di infondere una parvenza di logicità alla confusa linea melodica di "Harem Holiday". I suoi sforzi, va detto, sono ammirevoli.
In un'opera avara di spunti di rilievo, la veloce cavalcata notturna di "My Desert Serenade" - sorta di rock 'n' roll da mille e una notte - non è affatto male. "Go East Young Man", "Mirage" e "Kismet", tre lenti in sequenza, oltre a condurci nell'incantato Lunarkand ci rendono noto l'impegno di Elvis, forse affascinato dal ruolo interpretato nel film, oppure incuriosito dal trattamento riservato alle sue esternazioni amorose. Non si tratta di classici, occorre sottolinearlo, ma sono pur sempre piacevoli da ascoltare. "Shake That Tambourine" chiude il primo lato del 33 giri con ritmo: anche qui nulla di trascendentale, anche se il cantante pare divertirsi su un tappeto di percussioni.

Diametralmente opposta l'atmosfera che si respira sul secondo lato, dove nessun incantesimo potrebbe salvare dall'oblio l'inconcludente "Hey Little Girl", arrangiata approssimativamente e priva della coloritura fatata delle sue compagne di viaggio. A memoria d'uomo, una delle peggiori canzoni mai interpretate da Elvis. Due love songs consecutive, "Golden Coins" e "So Close Yet So Far (From Paradise)" ristabiliscono in qualche modo la situazione. Merito di un Elvis calato nella parte, naturalmente, per quanto in perenne lotta con qualche sciagurato tecnico del suono. Chiudono l'album le due bonus songs. "Animal Instinct" vede sugli scudi Rufus Long al flauto e si rivela immediatamente per quello che è, vale a dire una canzone mediocre e difficilmente inquadrabile. Dando una frettolosa occhiata al testo, si può comunque sorridere scorrendo la lista degli animali con i quali Elvis si immedesima, nel tentativo di impressionare la "lei" di turno. Davvero non c'è altro. L'apoteosi dell'alchimia sonora che alimenta "Harum Scarum" è raggiunta con la conclusiva, quasi epica "Wisdom Of The Ages", dove i temi cari all'amore lasciano il posto a una solenne morale che ovviamente non può essere presa sul serio. Neanche sforzandosi.

Se la musica incisa da Elvis per i rigidi schemi di Hollywood avesse costituito una quota marginale della sua discografia, "Harum Scarum" lo si sarebbe archiviato come una poco riuscita commistione di generi in antitesi tra loro, un disco da trascurare a beneficio di materiale più consistente e rappresentativo. Purtroppo le cose andarono in modo diametralmente opposto: per la gran parte del decennio consacrato ai film l'artista avrebbe continuato a disperdere il proprio talento registrando una colonna sonora dopo l'altra.

Come prigioniero della misteriosa dimensione dalla quale era giunto a noi, l'album sarebbe rimasto un episodio a sé stante, slegato dalla restante produzione di Elvis. Ancora oggi trova fissa dimora nel Lunarkand, trasformato per sempre in una favola da raccontare a bambini troppo cresciuti e disincantati.

Harum Scarum
(Colonna sonora del film omonimo)
1965

Lato 1: Harem Holiday / My Desert Serenade / Go East Young Man / Mirage / Kismet / Shake That Tambourine

Lato 2: Hey Little Girl / Golden Coins / So Close Yet So Far (From Paradise) / Animal Instinct / Wisdom of the Ages

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