Elvis vs The Beatles

Piuttosto che giocare, da piccolo sognavo il momento in cui avrei imparato a leggere e scrivere. Guardavo le riviste piene di strani segni, mi fermavo a fissare i cartelloni pubblicitari lungo la via, poi senza riuscire a mascherare l'impazienza chiedevo a mia madre quanto mancasse alla prima elementare. Già un paio d'anni dopo chiedevo espressamente un libro d'avventura a chi desiderava regalarmi qualcosa. Cose tipo "Robinson Crusoe" di Daniel Defoe e "Kim" di Rudyard Kipling, per citare i primi titoli che mi vengono in mente. Non riuscii mai a leggerli tutti, poiché ne ricevetti in dono troppi e avevo pur sempre bisogno di essere un bambino, però feci del mio meglio per dimostrare che i soldi spesi da chi mi voleva bene non erano stati sprecati. Peccato non aver conservato nessuno di quei volumi dalle copertine colorate e ammantate di mistero, adesso sarebbe bello vederli in fila su uno scaffale.

Quanto a Elvis, entrò nella mia vita cantandomi di pioggia e di un posto sconosciuto, apparentemente lontanissimo che si chiamava Kentucky. Cos'era, esattamente, il chentuchi? Con lui partivo da zero ma ero un ragazzino che imparava in fretta, e quel poco che capivo bastava, tanto Elvis era simile a un faro: la sua voce, il suo carisma illuminavano le mie perplessità come fasci di luce, spingendomi a conoscerlo. Le domande che mi ponevo erano molte, ma presto iniziai a prendere confidenza con la sua arte, familiarizzando con gli sbalzi d'umore, le pause riflessive e le improvvise impennate d'orgoglio di quell'uomo così speciale che chiamavano Re. Poi, mentre il mio solitario, appassionante percorso di apprendimento proseguiva mi ritrovai, mio malgrado, a difendere il suo regno. Come un soldatino allo sbaraglio, quasi si trattasse dell'ultimo esame da superare prima di essere considerato, a tutti gli effetti, un vero fan di Elvis Presley.

In realtà non accadde nulla di eclatante, ma l'eco della mia nascente passione varcò i confini della cameretta, giungendo alle orecchie dei miei coetanei, di coloro con i quali stavo crescendo e che consideravo amici del cuore. Lo erano a tutti gli effetti, insieme eravamo soliti prendere a calci un pallone fino allo sfinimento, inventavamo mille giochi diversi per passare i pomeriggi liberi dai compiti e guardavamo con la bocca spalancata dallo stupore i nostri programmi televisivi preferiti. Ripensandoci, a quei tempi bastava poco: Furia cavallo del West, Goldrake e la famiglia Cunningham erano più che sufficienti.

Tuttavia, più che a cementare la nostra amicizia la musica servì a dividerci, in modo del tutto inaspettato. Si, perché loro, senza eccezioni, erano con i Beatles. Io, naturalmente, mi trovavo dall'altra parte della barricata, con Elvis. In men che non si dica si arrivò a una serie infinita di discussioni, anche accese, nel tentativo di stabilire chi fosse più grande tra il ragazzo di Tupelo e i quattro venuti da Liverpool. Si trattò di veri e propri duelli combattuti a colpi di canzoni. Senti questa, e tu allora senti quest'altra... Inutile dire che non se ne usciva mai e dopo un po' si lasciava perdere, con i musi lunghi e la pretesa di aver ragione. Che poi a me i Beatles piacevano, parecchio anche, ma ne dovevo necessariamente parlar male, perché nessuno dei miei amici amava Elvis. Non era colpa loro, sul finire degli anni '70 - come oggi, del resto - giravano troppi luoghi comuni intorno al suo nome. Il Re del Rock and Roll era scomparso da poco e nel nostro paese tutti volevano dire qualcosa in proposito, il più delle volte parlando a vanvera e senza cognizione di causa. Una sequela di idiozie che arrivava dalla televisione e dai giornali, e allora la si prendeva per buona, veritiera. Io non la pensavo in quel modo, immaginavo ci fosse altro e continuai a combattere.

Pensando di fare maggiormente colpo, selezionavo dagli ellepì della mia collezione i brani marcatamente rock, tralasciando i lenti, che temevo fossero poco incisivi in battaglia. Erano bellissimi, ma li avrei ascoltati da solo, senza rompiscatole intorno. Così, se loro sfoderavano "She Loves You" io rispondevo con "Jailhouse Rock", se pensavano di intimorirmi con "Back In The U.S.S.R." avevo dalla mia "Blue Suede Shoes". Elvis non mi tradì mai, sapevo che potevo contare su di lui e non arretrai una sola volta, nemmeno di un centimetro.

Poi diventammo grandi e mettemmo le cose a posto, apprezzando gli uni la musica degli altri, ma non sono cambiato: sarei pronto a combattere anche oggi, mosso dal granitico senso di giustizia che mi caratterizza da sempre. Non contro i Beatles e i gusti musicali della gente, che sono rispettabilissimi, bensì scagliandomi sulla cattiva informazione, che è ancora lontana dall'essere sconfitta. A pensarci bene, è quanto continuo e continuerò a fare su questa pagina.

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