Elvis: Dietro il sogno

Lo sappiamo, nel 1977 Elvis tutto avrebbe dovuto fare tranne che esibirsi. Invece fece cinque tour in altrettanti mesi (a gennaio non tenne concerti), facendo una pausa di circa cinquanta giorni prima dell'ennesimo giro di spettacoli che sarebbe iniziato a Portland il 17 agosto. Avevo quindici o sedici anni quando seppi di questo estenuante, per certi versi insensato ruolino di marcia e ricordo che mi arrabbiai moltissimo. Possibile? Possibile che le persone intorno a lui non avessero cercato di impedire questa folle corsa verso la fine? A quei tempi riuscii a trovare soltanto risposte riconducibili all'avidità del suo manager e alla superficialità dei suoi presunti amici, ma non poteva essere tutto qui. In tutta la mia vita non ho mai, e sottolineo mai, considerato Elvis Presley un burattino senza carattere nelle mani di Parker. Se lo avessi fatto, probabilmente avrei amato di meno il mio artista preferito, sono fatto così. Non sopporto chi manovra, ma nemmeno chi si fa manovrare. Come ho appena detto, però, il problema con Elvis non si è mai posto.

Diciamo allora che al netto dei suoi eccessi Elvis era rimasto il ragazzo semplice di un tempo. Che aveva un altissimo senso del dovere. Che divenne il cantante più famoso del pianeta quando aveva ventuno anni. Che nel corso dei sixties si trasformò nell'attore più pagato di Hollywood e che qualche anno più tardi divenne una leggenda vivente. Niente male, vero? Secondo me non è il caso di continuare a parlare di un personaggio del suo calibro assimilandolo a un burattino che viene costretto a fare qualcosa contro la sua volontà. Insomma, stiamo parlando del più grande di tutti i tempi... mi sembra un po' riduttivo. Quindi, diciamo anche che Elvis si fece andare bene le scelte del Colonnello. Un po' per lealtà, un po', ovviamente, perché gli sembrarono giuste. Non sto dicendo che trovasse belli Clambake e Paradise, Hawaiian Style, né che considerasse opportune centinaia di repliche a Las Vegas. Lo so da me che Parker avrebbe dovuto concentrarsi maggiormente sull'aspetto umano del suo prestigioso cliente. So bene che Elvis si sarebbe dovuto impuntare e dire vado a cantare a Londra e Parigi con o senza te, ma credo che tutto abbia una sua logica, e non credo proprio che fosse quella del "sissignore, obbedisco".

E allora, i concerti fino alla fine dei suoi giorni malgrado la salute ormai compromessa? Soldi? Naturalmente sulla strada se ne trovavano tanti, tantissimi, ma è stupido e fuorviante limitarsi a questo pensiero. Così fisso questa foto risalente al 1972 - una delle mie preferite - e realizzo quanto Elvis avesse bisogno di quel contatto così speciale con il pubblico che amava e rispettava. Mi è chiaro, una volta di più, il suo desiderio di donare e donarsi. Vedo nitidamente il suo stravagante, quasi ingenuo tentativo di stabilire un contatto reale con chi, paradossalmente, lo aveva chiuso nei propri sogni.

Foto: web

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